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PNRR e Transizione: serve una scossa

Il Giornale / di Marcello Zacchè

Il Pnrr ha iniziato il suo roadshow. Lunedì 15 è partito da Bari, lunedì prossimo sarà a Bergamo e poi in altre 20 città, fino a marzo.

Il governo porta in giro per l’Italia il piano per ricevere e utilizzare i 191 miliardi messi a disposizione dai fondi europei Next Generation di qui al 2027. Un’impresa che si sta rivelando da un lato titanica, dall’altro assai complessa. Al punto che né la politica, né i media riescono a starle dietro. Come a dire che il progetto decisivo per il futuro del Paese, una sorta di secondo Piano Marshall dopo quello che dal 1947 al 1951 rimise in piedi l’Italia bombardata dalla seconda guerra mondiale, sta trovando impreparati molti degli attori chiamati a realizzarlo e a mettere in moto le energie necessarie per portarlo avanti. Il governo Draghi è nato per questo, per gestire gli aiuti attraverso le varie fasi: prima il piano che definisce i capitoli di spesa; poi le riforme strutturali chieste dalla Ue a garanzia; infine il cronoprogramma di questi otto anni nei quali i fondi arriveranno con l’«avanzamento lavori». E nello stesso tempo, per gestire l’altra grande partita europea: quella della transizione ecologica.

Adesso, quando il primo anno di governo di unità nazionale volge al termine, nell’ambito di un primo bilancio, ancorché sommario, si inizia a cogliere tutta la complessità di queste due sfide. Il tema è emerso a più battute in questi giorni al Festival Città Impresa di Bergamo, dove territori industriali, politica, scienza e finanza si sono incontrati ad alto livello. E hanno generato una certa risultante: le azioni richieste dal Pnrr sui territori, da un lato, e la indecifrabile sintesi tra rischi e opportunità della «transizione», dall’altro, pongono le questioni vitali del Paese su un piano che pare sempre più distante da quello della politica, sostanzialmente chiusa all’interno della propria continua litigiosità. Se si poteva pensare che a mettere in moto la macchina sarebbero bastati i vaccini, si è invece scoperto che questi sono necessari, ma non sufficienti. La matrice si è poi ulteriormente complicata per le pieghe inflazionistiche che ha assunto la ripresa post pandemica a causa dei costi di materie e trasporti. In fin dei conti, la messa a terra dei due grandi compiti dipende da variabili difficilmente controllabili: dall’efficienza amministrativa e finanziaria, alla conoscenza dei processi; dall’andamento dei mercati, alla flessibilità richiesta per gestire le tante imprevedibili varianti (vale soprattutto per la transizione: si pensi solo al capitolo auto elettrica).

Di fronte a una situazione di questo tipo, reale perché registrata sul campo, l’idea che di qui a tre mesi ci si trovi con un governo e un premier diversi dagli attuali suona come una pericolosa follia. La distanza tra la politica e l’execution di Pnrr e transizione è probabilmente destinata a restare. Ma la strada per accorciarla è solo quella di una maggiore responsabilità tra i partiti della maggioranza. Qualunque soluzione diversa da questa porterebbe a esiti opposti. Vanificando anche ciò che è stato finora fatto.

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