Un’Europa più forte, anche coraggiosa e capace di calarsi nella realtà con concretezza, senza fermarsi solo alle regole e alle sanzioni. È «l’Europa che vorremmo», quella che emerge dall’oretta di dialogo tra Paolo Gentiloni, già ministro degli Esteri, presidente del Consiglio e commissario europeo dell’Economia, e l’europarlamentare ed ex sindaco di Bergamo Giorgio Gori, davanti a una platea di cittadini, amministratori e imprenditori per il Festival Città Impresa.
C’è Dario Di Vico, editorialista del Corriere della Sera, ad incalzarli su diversi temi, dalla guerra in Ucraina al Green Deal. E i due interlocutori non si sottraggono, anche quando il dibattito si sposta sul governo italiano e i suoi rapporti con gli altri Paesi. «Giorgia Meloni — dice Gentiloni — ha un’affinità culturale e ideologica con il presidente degli Stati Uniti. E il Donald Trump del secondo mandato ha un progetto che vede l’Unione europea come un problema e non come un alleato. Lui pensa che l’Europa sia stata costruita per fregare gli americani, l’ha detto lui»
Per Gori, «Giorgia Meloni ha provato a cercare una relazione privilegiata con Trump. Ma quando Trump ha cominciato a picchiare duro sugli interessi europei, lei si è trovata in difficoltà. Il rapporto risentirà di questi alti e bassi: tanto più Trump sarà anti europeo nei suoi comportamenti, tanto più lei andrà in difficoltà. Al contrario, nei periodi di riavvicinamento, potrebbe trovarne beneficio. Io — aggiunge l’ex sindaco — penso che comunque con gli Stati Uniti dobbiamo avere a che fare. Non possiamo pensare che la democrazia americana finisca con Trump». Secondo Gori, «nel panorama europeo, il governo italiano si sta prendendo un po’ di vantaggio. Ma lo fa sempre con una visione molto limitata, è l’interesse nazionale applicato sui singoli dossier».
Più volte, durante il dibattito, si cita il Pnrr, il Piano approvato per rilanciare l’economia dopo il Covid. «Senza le risorse europee del Pnrr, saremo in recessione», dice Gori. Anche Gentiloni torna al periodo della pandemia. «Quello che riuscimmo a fare nel 2020 — dice —, fu fatto sull’onda di un’emergenza, poi sono le persone che decidono. Io sono sempre stato convinto, alla fine me l’hanno anche detto che Angela Merkel era rimasta impressionata perfino dalle vicende di Bergamo, quelle immagini dei camion militari al cimitero monumentale con le bare dei morti di Covid. I decisori politici decidono anche così, ma dopo quel momento non l’abbiamo più fatto e sono passati già cinque anni». Anche Gori dice di non vedere «segnali di qualcosa che assomigli allo spirito che si è determinato in Europa purtroppo per un evento catastrofico come il Covid che portò al NextGenerationEU».
A margine dell’incontro, Gori ricorda che tra le cose che hanno funzionato quand’era sindaco, ci sono proprio i fondi europei. «Hanno consentito — spiega — di aggiungere fondi pari a un paio di piani delle opere pubbliche extra ai nostri investimenti. Tra questi, c’è il Pnrr, che consente a Bergamo di realizzare infrastrutture di cui si parlava da anni, se non decenni». Se pensa a cosa è servita l’Europa negli anni in cui ha guidato la città, Gori ricorda anche «il reperimento e la distribuzione ai Paesi membri dei vaccini anti Covid nel dicembre 2020».
È questa l’Europa che Gentiloni e Gori vorrebbero, dove nessun Paese va avanti da sé, ma lo fa insieme agli altri. Si parla anche dell’Ucraina: «Tra le cose da fare — dice Gentiloni —, bisogna stare sul piano negoziale e chiedere il cessate il fuoco e dobbiamo chiudere il capitolo sul sostegno economico». Per Gori, «bisogna essere consapevoli che quello che gli americani non sono più disponibili a pagare, cioè la nostra difesa, è giusto che l’Europa provveda per sé a finanziare la difesa dei suoi cittadini». Gori ricorda anche che «nel rapporto Draghi, la transizione verde è la grande occasione per l’Unione europea, per emanciparsi ed essere leader di nuovi settori. Ma senza risorse, quella transizione si riassume soltanto in regole e sanzioni».
È il presidente della Provincia, Pasquale Gandolfi, a dire che non si può chiedere ai territori di competere in Europa se le istituzioni territoriali non sono solide. «Le sfide globali — aggiunge — si giocano nelle sedi sovranazionali, ma trovano realizzazione nei territori. Per questo le Province devono essere riconosciute come enti stabili, dotati di risorse certe, poteri chiari e personale competente».
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