Home » Né sfruttati né bamboccioni

Né sfruttati né bamboccioni

Di Lorenzo Rocco, docente di politica economica, Università di Padova

Come mai, si chiede Cancelllato, in un’epoca potenzialmente così favorevole ai giovani, in cui il veloce progresso tecnologico riduce il valore dell’esperienza accumulata nel tempo, le prospettive dei giovani italiani sono invece così magre? Il saggio cerca di rispondere a questa domanda e lo fa con una ampiezza di analisi e una ricchezza di dati davvero notevoli.

Si analizzano vari aspetti, quali la demografia sfavorevole, il sistema dell’istruzione superiore e universitaria che non produce competenze immediatamente spendibili, ma anche la poca domanda di competenze espressa dal sistema delle imprese. Si discutono gli squilibri del welfare, tutto orientato alle pensioni e poco alle famiglie e incapace di fornire protezione durante i sempre più frequenti periodi di transizione da un’occupazione a un’altra. Si evidenzia che gli squilibri di finanza pubblica alla fine ricadranno sui giovani, data la difficoltà nel ridurre i privilegi difesi della retorica dei diritti acquisiti. Si accenna al fatto che le ampie coorti di anziani hanno un peso politico sufficiente a bloccare riforme che mirano a un riequilibrio dei trasferimenti a favore dei giovani.

Che fare allora? Le politiche suggerite nel saggio includono la necessità di un maggiore investimento in istruzione e in formazione continua, che coinvolga buon parte della forza lavoro; la necessità di un forte intervento dello stato come venture capitalist, per supportare la nascita di molte e nuove start-up; e un ripensamento del welfare in un’ottica di flex-security.

Queste sono certamente politiche necessarie nel nostro paese, condivisibili e urgenti e in parte anche già attuate. Mi permetto di suggerirne una ulteriore, o piuttosto un approccio diverso ai problemi.

In un mondo così complesso, imprevedibile e veloce nel cambiamento, è difficile riuscire a individuare, in tempo, una singola strategia di successo valida per la maggior parte delle persone. Tra l’altro, non siamo nemmeno certi che questa strategia esista e non sappiamo per quanto tempo sarà valida. E’ possibile che esistano molte strategie diverse, adatte a piccoli gruppi di soggetti diversi e non necessariamente alla maggioranza delle persone. Al tempo stesso, quelle che a priori potevano apparire come alternative promettenti, alla fine potrebbero rivelarsi vicoli ciechi. Se questo è il contesto, forse l’approccio più promettente non è quello che si basa solo sulla programmazione, magari dal centro, per quanto comunque necessaria, ma quello che procede anche per prova-ed-errore. E’ un approccio in cui si sperimenta, si testa e si esplorano molte vie, accettando il rischio di fallire. Non si mettono tutte le uova in un paniere, magari quello della politica industriale, ma si diversifica il portafoglio degli interventi, includendo e supportando gli interventi che originano dal basso. I fallimenti saranno molti, ma i fallimenti mostrano quali strade sono vicoli ciechi.

Non pare plausibile che un approccio centralistico e top-down, dove lo stato indica la direzione per tutti, sia l’approccio corretto. Al contrario, un approccio decentrato, che sperimenti contemporaneamente molte soluzioni diverse coinvolgendo individui e soggetti, privati e pubblici, potrebbe essere preferibile. Tale approccio decentrato è però possibile solo a patto di aumentare la libertà d’azione degli individui, riducendo regole, autorizzazioni e controlli preventivi, a favore di valutazioni e verifiche ex-post. Si deve dare fiducia alle persone e non presumere che agiscano naturalmente in violazione alla legge. Serve rafforzare la propensione naturale dei giovani a rischiare, prevedendo meccanismi di assicurazione. Serve un sistema potente di venture capital, che attinga al grande serbatoio di risparmio del paese, magari partecipato dall’INPS e finanziato dai contributi pensionistici, in modo da rendere generazioni diverse interessate al successo delle nuove intraprese. Serve che il settore pubblico diventi esso stesso uno sperimentatore, che istituisca zone speciali, geografiche o tematiche, in cui testare nuove regole, nuove istituzioni, una nuova fiscalità (in fondo, la sanità regionalizzata va già in questa direzione). Serve aumentare la varietà dell’istruzione consentendo alle scuole di perseguire progetti e modalità educative differenziati e serve spingere le imprese a offrire loro stesse quel tipo di istruzione di cui lamentano la mancanza.

Così facendo si potrà esplorare velocemente un mondo ampio e sconosciuto cogliendo tutte le opportunità che offre.